Una caratteristica dei centri storici che sorgono su speroni tufacei, come nel caso di Farnese, è la notevole presenza di “pozzi da butto”. Si tratta di grandi pozzi di forma cilindrica o a fiasco, scavati direttamente nel banco di tufo e utilizzati in origine come silos per la conservazione del grano o come cisterne per la raccolta dell’acqua, e in un secondo momento per gettarvi i rifiuti della vita quotidiana. Infatti, in molti statuti medievali di città come Orvieto, Todi, Viterbo, si vietava di gettare le “immondizie” per le strade. Da questo deriva l’uso di gettare tutto ciò che non serviva più (resti di pasto, oggetti di uso quotidiano rotti o non più utilizzabili, etc.) nei butti situati nelle piazzette e nelle strade degli abitati, spesso anche nelle cantine della case private.
A Farnese sono stati individuati molti di questi pozzi; il materiale rinvenuto al loro interno, in prevalenza ceramiche, ora conservate e visibili nel museo civico, permettono di ricostruire uno spaccato della vita quotidiana degli abitanti del borgo in un periodo che va almeno dal XIV agli inizi del XVII secolo. Tra il materiale recuperato, sono da segnalare alcune ceramiche che presentano lo stemma della famiglia Farnese, realizzate su committenza della corte; un boccale rinvenuto pressoché integro, databile nella metà del XV secolo e gettato forse in seguito a qualche epidemia per rischio di infezione; un prezioso rosario in corallo inciso a bulino con medaglietta in bronzo sul quale è l’immagine dell’Immacolata e di San Francesco, riconducibile dunque ad ambito francescano e databile al XVI secolo; infine un raro nettapipe o pressa-tabacco in osso del XVI secolo, riferibile alla cultura degli Indiani d’America, giunto a Farnese al seguito di qualche missionario francescano di ritorno dalle colonie, da poco scoperte, del Nord America.
(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)