Il Brigantaggio

La Maremma, e in particolare il territorio di Farnese con l’impenetrabile Selva del Lamone, fu nell’Ottocento teatro di un fenomeno diffuso in molte regioni del centro e del sud Italia, quello del brigantaggio.

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Descrizione

La Maremma, e in particolare il territorio di Farnese con l’impenetrabile Selva del Lamone, fu nell’Ottocento teatro di un fenomeno diffuso in molte regioni del centro e del sud Italia, quello del brigantaggio. Ancora oggi molti degli abitanti della zona conservano viva memoria delle gesta di Ansuini, Menichetti, Biscarini, Pastorini, Biagini e soprattutto di Domenico Tiburzi, detto anche Domenichino o Re del Lamone, perché per decenni passò la sua vita nascosto nel bosco del Lamone.
In una società dove dominava la miseria e gli abitanti dei paesi venivano vessati da tasse e balzelli che i signori locali esigevano da loro, questi personaggi erano visti non come criminali, ma come difensori dei poveri e degli oppressi. Soprattutto Tiburzi potè godere per tutti gli anni della sua latitanza dell’omertà della popolazione farnesiana, che vedeva in lui chi poteva far rivalere i suoi diritti nei confronti dei ricchi proprietari e latifondisti.
Molti sono gli episodi legati alla figura di Tiburzi che si possono ricordare, dall’inizio della sua carriera criminale nel 1867, quando uccise il fattore del conte Guglielmi di Montalto di Castro, che lo aveva denunciato per pascolo abusivo, all’uccisione feroce di Antonio Vestri che lo aveva tradito: costui, rientrando a Farnese insieme a cinque legnaioli durante la settimana Santa del 1889, fu ucciso con una scarica di fucile durante un’imboscata, sgozzato e infine gli fu tagliata la lingua davanti ai suoi compagni.
Dai suoi rifugi presso la Roccaccia (Sorgenti della Nova) d’estate e dalla città distrutta di Castro in inverno, Tiburzi faceva pervenire ai fattori che infierivano sui poveri abitanti di Farnese biglietti minatori, mentre ai ricchi proprietari e ai latifondisti veniva imposta la “Tassa sul brigantaggio”, che garantiva l’ordine nei loro possedimenti.
Nell’agosto 1889 il compagno di Tiburzi, Domenico Biagini detto il Curato, insieme al nipote Luciano Fioravanti fu sorpreso dai carabinieri nella macchia di Gricciano, e morì per un colpo apoplettico. Il fattore del marchese Guglielmi, Raffaello Gabrielli, che doveva avvertire il Biagini della presenza dei carabinieri, fu ucciso per vendetta pochi mesi dopo da Tiburzi davanti a 120 braccianti.
Nel 1893 fu celebrato a Viterbo un famoso processo per brigantaggio, che portò all’arresto di 271 persone nella Maremma Tosco-Laziale, colpevoli di favoreggiamento nei confronti dei briganti; tra questi anche il sindaco e il segretario comunale di Farnese. Pur avendo stroncato in questo modo la fitta rete di connivenze che Tiburzi aveva creato in tanti anni, egli continuò la sua attività ancora per qualche anno, finchè fu ucciso il 24 ottobre 1896 nei pressi di Capalbio.
Di Tiburzi si conosce una sola immagine, la foto scattata al suo cadavere dopo la sua cattura. Con lui finiva in Maremma l’epoca dei briganti.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)

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Pagina aggiornata il 17/10/2023